Dopo il 15 novembre 1917 nel settore del Montello inizia un lungo periodo di inattività, nel quale i due eserciti si trincerano sulle opposte sponde del Piave e si scambiano solo tiri d’artiglieria d’inquadramento e di disturbo. Il vero battesimo del fuoco per il nuovo esercito italiano avverrà il 15 giugno 1918.
Per noi sarà la “Battaglia del Solstizio”, così come la chiamò Gabriele D’Annunzio, o la “Seconda del Piave”.
Per gli austriaci sarà “l’Operazione Radetzky”, anche se tra Montello e Piave il piano cambia nome e diventa “Operazione Albrecht”. Più realisticamente, abbandonando le definizioni altisonanti, l’ultimo sforzo della monarchia danubiana sul fronte italiano viene ribattezzato dai soldati dell’Imperatore “l’Offensiva della fame”.
Ai soldati viene promesso ogni ben di Dio, ricordando il ricco bottino (ed aggiungiamo noi lo sperpero) dopo l’invasione delle province friulane e venete dell’anno precedente.
Per rendere l’idea delle condizioni degli occupanti, ma anche degli occupati, basta pensare che in questo momento della guerra il peso medio di un soldato non superava i 48 chili.
Non a caso per le popolazioni residenti in zona di guerra questo anno rimarrà famoso come “l’anno dei tedeschi, l’anno della fame”.
Soltanto a Valdobbiadene sono 757 le persone morte per la fame in quel periodo, ma succede così anche per gli altri paesi limitrofi.
Le scorte alimentari sono esaurite.
Le richieste degli ufficiali austriaci di inviare rifornimenti adeguati alle necessità dell’esercito sono ignorate, altrettanto grave è la situazione generale della monarchia, con i lavoratori dell’industria entrati in sciopero all’annuncio di nuove restrizioni alimentari.
Una truppa affamata non è idonea a svolgere un attacco, ma è altrettanto vero che il miraggio di un nuovo ricco bottino alimentare può provocare una molla psicologica di non trascurabile valore.
La situazione generale esige che l’offensiva contro l’Italia inizi quanto prima possibile.
Il Comandante delle Armate del Piave, Boroevic, parlando ai suoi generali il 13 e 14 giugno, traccia il quadro delle operazioni cercando di convincere l’Imperatore della necessità di beni strumentali e logistici capaci di poter garantire il felice esito dell’assalto nei giorni che seguiranno il primo impatto con il nemico.
E’ sua ferma convinzione che in assenza di tali rinforzi, non vi possa essere garanzia di esito favorevole della grande impresa.
La preparazione tecnica e morale viene sviluppata con la solita precisione, con la solita pignoleria, con la solita scarsa considerazione degli italiani.
Sono pronti timbri e targhe ricordo per l’occupazione, data per scontata , di Venezia e Milano. Ed è pronta persino la cerimonia per assegnare, a Vicenza, il bastone di Maresciallo all’Imperatore in trionfo. Ma gli austro-ungarici non sanno, o se lo sanno preferiscono nasconderlo alla truppa, che di fronte non ci sono più gli uomini e l’atmosfera di Caporetto.